Il respiro di Dio
Nell’immaginario umano, che li vede associati alla Parola di Dio, formati dalla stessa sostanza eterea e luminosa delle nubi, gli angeli solcano i cieli velocissimi; sfrecciano alla velocità del pensiero slegati dal concetto di tempo e spazio. Gli angeli sono là dove il loro compito li porta, con l’aerea leggerezza del vento. E al vento sono spesso stati associati. La narrazione biblica della Creazione inizia proprio con lo Spirito di Dio che alitava come vento sopra le acque. Il vento come respiro di Dio, il vento come portatore del soffio vitale. Il vento è stato anche immaginato come energia che, trasportata dagli angeli, si trasmette ai pianeti permettendo loro così di ruotare nello spazio ad essi assegnato. Il vento come motore.
Così ne parla Dionigi l'Aeropagita nel suo "Gerarchia Celeste" :
Il fatto che alle Intelligenze si dia il nome di "venti" sta ad indicare la rapidità del loro volo, che su tutto si estende quasi istantaneamente, e il movimento che le porta dall’alto in basso, che innalza le entità del secondo ordine alla vetta più eccelsa e che spinge le entità primarie a procedere a scopo provvidenziale verso le inferiori, per una comunione con esse. Si potrebbe anche dire che lo stesso attributo "ventoso" di soffio d’aria dato allo spirito (pneuma) ci rivela il carattere divino delle intelligenze celesti.
Il concetto è molto antico, ma non sempre collegati al vento troveremo angeli buoni. Il vento in sé può essere vita, ma anche distruzione. Nell’apocrifo "libro di Enoch", il profeta racconta la sua visione:
E ai confini della Terra, vidi dodici porte aperte a tutti i venti, dalle quali i venti uscivano e soffiavano sulla Terra... Da quattro di esse uscivano i venti della benedizione e della salute, da quelle otto, uscivano i venti del castigo: quando venivano inviati distruggevano tutta la terra, l’acqua che vi è sopra, tutti coloro che vi dimoravano e tutto quello che sta nell’ascqua e nell’asciutto.
Forse il riferimento più importante proviene dall’Apolicasse: al capitolo 7 così narra Giovanni:
Vidi quattro angeli in piedi ai quattro angoli della Terra, che trattenevano i quattro venti affinché nessun vento soffiasse sulla terra, né sul mare né su alcun albero.
Gli angeli, in quanto custodi dei venti e rigidi esecutori della volontà divina, non esitano a riversare il flagello sul pianeta se questo è il comando. Ritroviamo il concetto degli angeli reggitori dei venti nel vangelo apocrifo di Bartolomeo:
Ma ci sono anche quattro angeli preposti ai venti: uno a Borea il cui nome è Chairum, che tiene in mano una verga di fuoco... Un altro angelo è sopra il vento del Nord e il suo nome è Oertha... E l’angelo che è sopra il vento di sud-ovest è chiamato Nautha...
Anche il Corano dà ai venti una interpretazione particolare, sfiorandone l’argomento nella sura 25,48:
E’ lui , quegli che spedisce i venti come nunzi di buone novelle, avanti alla Sua misericordia.
Nella concezione zoroastriana, Vayu, il vento, è una divinità dell’aria, sottoposta ad Ahura Mazda, ma è una dinività ambivalente, buona e malvagia allo stesso tempo. Vayu è il respiro dell’universo, ma è anche l’alito vitale dell’uomo. Così come il vento può suscitare la lieve brezza della sera o può scatenare uragani, con lo stesso potere, Vayu può dare o togliere il respiro dell’uomo; può trasportare l’anima in una nuova incarnazione, o strapparla via ad un vivente e trascinarla lontano.
Ritroviamo nella Grecia classica i venti come gli accompagnatori delle anime nel lungo viaggio dopo la vita. Il dolce Zefiro ha come compagna Borea, la minacciosa, impetuosa portatrice del vento del nord, ossia il soffio gelido della morte. Entrambi avevano il compito di condurre i defunti nell’aldilà, verso le Isole Beate.
Col sopraggiungere della cristianità, questo compito venne affidato a categorie particolari di angeli accompagnatori, sotto la guida dell’Arcangelo Michele. Nella liturgia preconciliare, all’offertorio della Messa funebre veniva invocato: "Michele il signifero si presenti nella luce santa promessa ad Abramo". Dopo il concilio, la liturgia venne così modificata: "In paradisum deducant te Angeli" che comunque, pur avendo omesso il nome di Michele, lascia intatto il significato.
Col passare dei secoli, i ricordi e le tradizioni si sovrappongo l’un l’altra. Con il mutare delle religioni e delle culture mutano i nomi delle divinità, ma non la funzione che queste esplicano in aiuto dell’uomo. Ecco un esempio significativo.
Johannes Malala, un viaggiatore e cronista vissuto tra il 491 ed il 578, narra che nei dintorni di Bisanzio, con l’avanzata del cristianesimo, il culto dell’Arcangelo Michele aveva soppiantato quello di un demone pagano di nome Soshistene. In pratica, questo demone, signore di quella zona del Bosforo, era il custode del vento di Borea, il cui soffio impetuoso regolava l’uscita o l’entrata delle imbarcazioni nel Mar Nero. La devozione popolare era passata dal paganesimo al cristianesimo, ma le necessità di propiziarsi il vento a favore erano rimaste immutate, così, per non irritare i catecumeni, venne cambiato soltanto il nome e l’aspetto iconografico del "signore del Vento", non il suo compito. In effetti, in quel luogo come in qualunque altro, l’angelo reggitore del Vento è sempre esistito: quando l’uomo lì si insediò, l’angelo rispose alle richieste di intervento che giungevano fino a lui, prima come Soshistene, poi come Michael.
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